martedì 23 giugno 2020

Indice dei film dalla A alla Z

Ed eccoci dopo quasi 4 anni di silenzio a dare una sistemata a questo blog.
Corretti i refusi (almeno quelli che ho trovato), "rinfrescati" i link ai video di youtube non più funzionanti, aggiunta qualche correlazione qui e là. Per mettere ordine mancava solo una bella lista in ordine alfabetico dei film recensiti finora. A presto, spero, anche con nuovi contributi.

FILM



DOSSIER

giovedì 27 ottobre 2016

Frankenstein (1931)



Henry Frankenstein è uno scienziato ossessionato dall’idea di infondere artificialmente la vita a un corpo inanimato. Per raggiungere i suoi scopi non esita a trafugare illegalmente cadaveri e parti anatomiche, aiutato dal gobbo aiutante Fritz. La sua fidanzata Elizabeth, preoccupata per la salute del promesso sposo rinchiuso in laboratorio da giorni, chiede aiuto all’amico Victor e all’ex mentore di Henry, il dottor Waldman. I tre bussano alla porta dello scienziato in una notte di tempesta, proprio quando l’esperimento è ormai prossimo a compiersi.

Come abbiamo visto, la genesi di Dracula fu determinata, a monte, dalla scomparsa di Paul Leni prima e di Lon Chaney poi, costringendo l’Universal a scegliere Browning come regista e a ripiegare (si fa per dire!) su Lugosi come protagonista. La storia produttiva di Frankenstein fu ancora più complessa, cambiando radicalmente addirittura in corso d’opera. Anche in questo caso Universal, che già da tempo pensava a una trasposizione del romanzo di Mary Shelley, aveva acquistato i diritti della riduzione teatrale ad opera di Peggy Webling, in cui c’era anche lo zampino di John Balderston già autore di quella di Dracula; era inoltre stato stanziato un grosse budget, per merito del trionfo al botteghino del film di Browning. Ancora una volta venne designato inizialmente un cineasta diverso da quello che poi avrebbe firmato l’opera, il francese Robert Florey. Immigrato a Hollywood una decina di anni prima, Florey aveva in testa un progetto dichiaratamente ispirato all’estetica dell’espressionismo tedesco, al Caligari di Wiene in particolare, e per la parte dello scienziato aveva subito pensato a Lugosi. Carl Laemmle, voleva che Lugosi, attore del momento, vestisse, invece, i panni del mostro e fu così che venne addirittura girato un provino (purtroppo andato perduto), sul set del castello di Dracula (!) in cui Bela indossava un costume simile a quello del Golem di Paul Wegener. 
A questo punto i lavori sembravano pronti a partire, tant’è che venne anche realizzata una locandina con il nome dell’attore ungherese scritto a caratteri cubitali. La situazione cambiò, invece, totalmente in brevissimo tempo perché il progetto finì col non convincere né Lugosi, che alla fine rifiutò la parte, né la Universal che, intenzionata a tutti i costi a ripetere il successo di Dracula, sostituì Florey con il più affidabile James Whale, già da tempo interessato al soggetto. Whale rimaneggiò la sceneggiatura pre-esistente, già parecchio distante dal romanzo di Mary Shelley, e per la parte del mostro decise di scommettere su un attore allora poco conosciuto e nemmeno più giovanissimo: William Henry Pratt, in arte Boris Karloff. Come Lugosi, anche Karloff finì per incarnare, grazie al decisivo contributo del make-up di Jack Pierce, l’icona del mostro che interpretava, lanciando nell’immaginario collettivo una figura imponente, dalla testa piatta, i piedi enormi, piena di cicatrici (a simboleggiare il taglio&cucito del patchwork di cadaveri) abiti stracciati e, naturalmente, gli elettrodi sul collo. Nonostante le pesantissime, e spesso anche dolorose, sessioni di trucco, Karloff riuscì comunque ad essere molto efficace nella sua recitazione grazie alla gestualità e alla mimica facciale, conferendo anche un’espressione dolente e malinconica (ma, all’occorrenza anche feroce) alla creatura e imponendosi come una nuova star nel firmamento hollywoodiano. 
Anche il resto del cast se la cavò egregiamente, da Colin Clive, convincente nei panni di Henry Frankenstein, ai già rodati Van Sloan (che compare anche prima dei titoli di testa per mettere in guardia gli spettatori) e soprattutto Frye, interprete, dopo il folle Renfield, di un personaggio molto al di sopra delle righe, forse pure troppo: il gobbo servitore Fritz. Anche quest’ultimo diventerà, in misura minore, un modello tanto da venire imitato e/o parodiato in successive altre pellicole, con Frankenstein Junior di Mel Brooks ovviamente in prima linea. Il film di Whale si basava, comunque, su elementi già consolidati o già visti. Lo scienziato ossessionato, con il servitore deforme e il laboratorio isolato pieno di alambicchi e macchinari (con tanto di fulmini) si era già visto nel misconosciuto e seminale The Magician (film muto del 1926 di Rex Ingram di cui abbiamo già parlato qui). Anche il make-up della creatura potrebbe essere considerato come una versione evoluta e corretta di quello applicato a Charles Ogle nel corto Frankenstein (1910). Della sceneggiatura e dell’influenza espressionista già abbiamo detto. Eppure Whale riuscì a combinare tutti questi elementi in modo fresco e moderno, imprimendo, a differenza del Dracula di Browning e a dispetto della matrice teatrale, dinamicità e ritmo alla vicenda. Mai prima d’allora, poi, l’horror era stato così esplicito e così “crudo”. Sono tantissime le scene memorabili: l’esperimento, l’incontro con la bambina al lago (importantissimo per mostrare l’umanità e la sostanziale ingenuità del “mostro”), la camminata del padre atterrito con in braccio il cadavere della figlia (senz’altro la più toccante). L’apoteosi resta comunque il finale, con la folla inferocita, armata di torcia, a inseguire la creatura sulle montagne, sino al rogo del vecchio mulino. Dal punto di vista tecnico, fotografia top per l’epoca e splendide le scenografie e i fondali. Il film ottenne meritatamente l’agognato successo, tanto da generare di lì a poco un sequel e poi un’intera saga.
Un tassello fondamentale nella genesi del cinema horror. Visione obbligatoria.
Curiosità: la pellicola ebbe grossi problemi con la censura. Diverse sequenze, come quella dell’annegamento della piccola Maria o quella (tacciata di blasfemia) in cui Henry, galvanizzato dalla riuscita dell’esperimento si paragona a Dio, furono tagliate e reintegrate solo in tempi relativamente recenti.

Reperibilità: Ottima. Anche in questo caso c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Titolo: Frankenstein
Produzione: USA(1931), b/n, 70 minuti
Regia: James Whale
Cast: Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, Edward Van Sloan
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domenica 23 ottobre 2016

Dracula - versione spagnola (1931)



Dopo un lungo e movimentato viaggio, l’agente immobiliare Renfield giunge al castello del conte Dracula per sottoporgli il contratto di affitto dell’abbazia di Carfax, nei pressi di Londra. Dracula è in realtà un vampiro che, dopo aver soggiogato la mente del malcapitato Renfield, si trasferisce in Inghilterra sterminando l’intero equipaggio della goletta su cui aveva viaggiato. Giunto a Londra, i suoi interessi si concentrano sulle giovani amiche Lucìa e Eva; quest’ultima è la figlia del rettore dell’istituto psichiatrico in cui Renfield, creduto pazzo, è stato ricoverato.


Raccontando del remake sonoro del Castello degli Spettri, abbiamo accennato a come la Universal ne avesse prodotto una versione in lingua spagnola, La Voluntad del Muerto, diretta dal regista statunitense George Melford e destinata principalmente al mercato sudamericano. La ratio di questo tipo di operazione risiedeva nel fatto che il doppiaggio, all’epoca, non fosse stato ancora inventato (lo sarà solo nel 1933) e che trovare attori in grado di parlare più lingue era merce rarissima. Per cui a Hollywood divenne usanza, nei primissimi anni di avvento del sonoro, realizzare più versioni in lingua diversa dello stesso film, con un cast ad hoc da distribuire in paesi non anglosassoni. Carl Laemmle, il gran capo della Universal, decise di ripetere lo stesso procedimento anche per Dracula, affidandone sempre a Melford (che, tra l’altro, non parlava né capiva una parola di spagnolo) la regia.
Venne così ingaggiato un cast di attori semisconosciuti, se non del tutto esordienti, di nazionalità diverse, ma quasi tutti di madrelingua spagnola. Il progetto era improntato al massimo risparmio possibile per cui i due Dracula vennero realizzati contemporaneamente, dividendo lo stesso set. Fu così che mentre Browning, Freund, Lugosi e soci lavoravano di giorno, alla sera entrava in scena la troupe guidata da Melford. La sceneggiatura rimase praticamente la stessa della versione inglese, salvo un cambio di nomi di alcuni personaggi (Mina ad esempio, viene ribattezzata Eva) e alcuni dialoghi di scarsa rilevanza. La critica più moderna ha decisamente rivalutato il Dracula spagnolo. Addirittura qualcuno lo definisce superiore a quello di Browning. Melford, senza dubbio, ebbe lo svantaggio di avere meno tempo a disposizione del collega per ultimare il suo lavoro, anche se la sua versione è più lunga di oltre mezz’ora rispetto a quella con Lugosi; per risparmiare, inoltre, i produttori gli imposero di riutilizzare alcune sequenze realizzate da Browning (ad esempio, quella dell’ombra del capitano della goletta accasciato sul timone, le amanti di Dracula che lo accompagnano nella sua prima apparizione). D’altro canto ebbe la possibilità di visionare giornalmente il girato di Browning e di poter quindi adottare un approccio differente laddove gli era lasciato spazio. Nel confronto, la regia di Melford appare più brillante e dinamica di quella del collega che si affidò principalmente a riprese fisse. C’è una continua ricerca di inquadrature diverse, di movimento, che rendono, da questo punto di vista, più moderno il Dracula spagnolo. Però quei minuti in più finiscono per appesantire un po’ la narrazione degli eventi che, numericamente, sono gli stessi in entrambi i film, pur con alcune eccezioni anche notevoli (su tutte la sequenza in cui le amanti di Dracula si avventano sul corpo esanime di Renfield).

Per quanto riguarda il cast, si difendono bene proprio Rubio/Renfield (particolarmente riuscita la sua risata folle ripresa dall’esterno dell’oblò della goletta), anche se in generale gli ho preferito la recitazione allucinata di Frye e Lupita Tovar/Eva/Mina, anche più convincente di Helen Chandler nell’ostentare la trasformazione del suo personaggio dopo aver subito il primo morso del vampiro. Molto meglio Van Sloan, che conosceva bene la parte grazie all’esperienza maturata a teatro, invece di Arozamena, nei panni di Van Helsing. Ma dove il film di Melford esce completamente sconfitto, abbattuto e disintegrato è nel confronto tra i due attori che interpretano il Conte. Villarias già di per sé non sarebbe credibile nei panni di Dracula, figuriamoci se messo a paragone con Lugosi che era nato per indossare quel mantello. Alcune sue espressioni rasentano il ridicolo involontario, soprattutto quelle che dovrebbero invece far risaltare la malvagità di Dracula; e il suo tono di voce, quasi rassicurante, non aiuta di certo. Nonostante ciò, il Dracula di Melford rimane un buon film, anche se, considerata la sua natura di produzione “gemella”, vale la pena recuperarlo solo per completezza. 

Reperibilità: Discreta. In vendita però non mi risulta sia stato commercializzato singolarmente, ma solo insieme ad altri film in cofanetti e collezioni varie (lo trovate, ad esempio, nel box Legacy Collection che raccoglie tutta la saga draculesca della Universal), non doppiato, ma con sottotitoli in italiano.


Titolo: Dracula

Produzione: USA(1931), b/n, 104 minuti

Regia: George Melford

Cast: Carlos Villarias, Lupita Tovar, Pablo Alvarez Rubio, Eduardo Arozamena

venerdì 21 ottobre 2016

Dracula (1931)






Dopo un lungo e movimentato viaggio, l’agente immobiliare Renfield giunge al castello del conte Dracula per sottoporgli il contratto di affitto dell’abbazia di Carfax, nei pressi di Londra. Dracula è in realtà un vampiro che, dopo aver soggiogato la mente del malcapitato Renfield, si trasferisce in Inghilterra sterminando l’intero equipaggio della goletta su cui aveva viaggiato. Giunto a Londra, i suoi interessi si concentrano sulle giovani amiche Lucy e Mina; quest’ultima è la figlia del rettore dell’istituto psichiatrico in cui Renfield, creduto pazzo, è stato ricoverato.

Abbiamo avuto modo di raccontare come il romanzo di Bram Stoker fosse stato già trasporto su grande schermo nel 1922, senza autorizzazione, da Murnau con Nosferatu, Il Vampiro poi condannato al rogo per violazione dei diritti d’autore. Qualche anno dopo, Dracula tornò a essere rappresentato, questa volta a teatro e con il consenso della vedova Stoker, grazie all’adattamento realizzato dall’irlandese Hamilton Deane; portata in scena con successo a Derby nel 1924, l’opera, che vedeva nel cast Raymond Huntley nei panni del Conte e lo stesso Deane in quelli di Van Helsing, ebbe parecchio successo tanto da attirare l’attenzione degli americani che ne acquistarono i diritti. Fu così che nel 1927 la riduzione teatrale, rimaneggiata dal commediografo John Balderston, fece il suo debutto a Broadway; a indossare il mantello del Conte questa volta fu un allora sconosciuto attore di origine ungheresi, Bela Lugosi, destinato a diventare un’icona della cinematografia horror e a lanciare, nell’immaginario collettivo, la figura di Dracula come un aristocratico d’ altri tempi, dall’accento mittle-europeo, vestito elegantemente, modi affascinanti e raffinati, sguardo magnetico che nascondono una bestialità da vampiro. Il successo fu straordinario e lo spettacolo nei due anni successivi divenne addirittura itinerante, suscitando l’interesse della Universal che, già da tempo intenzionata a realizzare un film basato sul romanzo di Stoker ritenuto potenzialmente fruttifero al box office, acquistò a sua volta i diritti (più economici) dello script di Huntley/Balderston. 
La storia del primo vero Dracula cinematografico avrebbe, però, dovuto essere diversa da quella che poi, per una serie di circostanze, fu. Il regista designato dai produttori, infatti, avrebbe dovuto essere, in origine, Paul Leni nel frattempo però deceduto causa setticemia. La scelta della Universal cadde quindi su un altro regista tra i più apprezzati dell’epoca: Tod Browning. Questi, a sua volta, avrebbe voluto ad ogni costo (e non sarebbe stato basso visto che ai tempi era sotto contratto con la MgM) il suo attore feticcio, il mitico Lon Chaney, come protagonista. Chaney, già da tempo malato, morì però per un cancro alla gola, prima ancora che potessero iniziare le trattative per il suo ingaggio e quindi i produttori, memori del successo del Dracula teatrale, optarono per un sostituto low cost che già conosceva bene il ruolo: proprio Bela Lugosi. La crisi portata dalla Grande Depressione non lasciò gran margine di scelta a Lugosi, che si accontentò di una miseria come compenso e si mise al lavoro, imparando a memoria (il suo inglese era ancora scarso e non conosceva il significato e la fonetica di molte parole) le battute che avrebbe dovuto recitare. Le cronache riportano un Browning, benché avesse fama di regista parecchio meticoloso, piuttosto disinteressato al progetto dopo la morte di Chaney; si racconta che lasciò ampio spazio al direttore della fotografia Karl Freund, anche dietro la macchina da presa, tanto che qualcuno parla addirittura di secondo regista non accreditato. Certamente il risultato finale, a livello di regia, risulta solido ma molto più convenzionale rispetto agli altri lavori di Browning, con una staticità non del tutto smarcata dal periodo del muto e da imputare anche alla sceneggiatura basata sul testo teatrale e infarcita di dialoghi. Tuttavia la durata contenuta della pellicola permette di sorvolare, in parte, a mio giudizio, su questo difetto anche perché non mancano le sequenze memorabili. Penso in particolare a quella della cripta, in cui vediamo Dracula uscire per la prima volta dal suo feretro, che la lentezza della ripresa anzi accentua, in modo quasi malinconico, sottolineandone l’epicità col suo soffermarsi sulla mano esitante che spunta dalla bara. Dal punto di vista tecnico il film rimane di alto livello grazie anche alla scenografia (se pur meno sfarzosa di altre produzioni quali Il Gobbo di Notre Dame o Il fantasma dell’Opera, ma la crisi aveva colpito anche la Universal) e alla fotografia in cui Freund trasfuse tutta l’esperienza maturata in Germania durante il periodo espressionista (fu lui ad avere l’idea delle luci puntate sugli occhi del Conte per evidenziarne lo sguardo ipnotico). 
Il merito principale del successo di Dracula è però da attribuire al cast, Lugosi in primis, che ridisegnò, definendola, l’iconografia del vampiro con quel suo aspetto da nobile decaduto, vestito da serata di gala, sensuale, con l’imprescindibile mantello dall’alto bavero sulle spalle, anche se con la significativa eccezione dei canini ipersviluppati. La componente orrorifica del film, che confina fuori campo quasi tutte le scene più spaventose, si regge in gran parte sui suoi movimenti studiati, la gestualità e sulla voce impreziosita dalla cadenza ungherese. All’altezza dei rispettivi personaggi anche Dwight Frye nel ruolo di Renfield e di Edward Van Sloan, che aveva già diviso il palcoscenico con Lugosi ai tempi della riduzione teatrale, in quello di Van Helsing. La pellicola fece il botto al box office, affermandosi come il maggior incasso dell’anno per la Universal che si convinse a investire ulteriormente nelle trasposizioni dei classici della letteratura gotica (e non solo). Dracula, insieme al coevo Frankenstein, ebbe quindi il merito di dare avvio all’industria del cinema dell’orrore e a definire l’horror come genere a sé stante.
Pietra miliare e visione obbligatoria per tutti gli appassionati.

Reperibilità: Ottima. Esistono svariate edizioni, sia italiane che estere, tra cui un bel cofanetto che raccoglie tutta la saga Universal del Conte.
Titolo: Dracula
Produzione: USA(1931), b/n, 75 minuti
Regia: Tod Browning
Cast: Bela Lugosi, Edward Van Sloan, Dwight Frye, Helen Chandler

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martedì 18 ottobre 2016

(Dossier) Gli altri film del 1930



Allacciamo le cinture e partiamo per un nuovo viaggio tra gli altri film dell’annata. Questa volta tocca all’interlocutorio e poco prolifico 1930, che precede invece uno degli anni più importanti nella storia del cinema horror. Dopo The Bat Whispers, cominciamo parlando di un altro remake, The Cat Creeps, rifacimento sonoro de Il Castello degli Spettri di Paul Leni, nel frattempo passato purtroppo a miglior vita. L’operazione, sempre patrocinata da Universal, vide quindi una sostituzione in cabina di regia, con il duo formato da Rupert Julian (già autore dell’ottimo Fantasma dell’opera) e John Willard. Anche in questo caso plot identico e cast completamente rinnovato, ma del film non sappiamo altro perché purtroppo perduto, salvo qualche clip successivamente implementata nel cortometraggio Boo (1932) sempre prodotto da Universal Picture. 
Persa è anche La Voluntad del Muerto, versione in lingua spagnola del remake, con relativo cast ad hoc e condivisione degli stessi set, diretta da George Melford; Melford divenne specialista di questo tipo di operazioni multi-produzione di film in lingua straniera che erano in voga a Hollywood in quegli anni per favorirne la distribuzione anche in paesi non anglosassoni (ne parleremo a proposito di Dracula). 
Ci spostiamo ora in Europa, precisamente in Germania, per parlare sempre di un remake, Alraune-La Figlia del Male (Alraune), rifacimento sonoro di La Mandragora, ad opera dell’attivissimo Richard Oswald che ripropone l’affascinante Brigitte Helm come protagonista, ma perde il grande Paul Wegener (rimpiazzato comunque degnamente dal bravo Albert Basserman) come antagonista nei panni del cinico professor Ten Brinken. La trama si discosta in parte dall’originale girato da Henrik Galeen, spingendo maggiormente sulla sensualità di Alraune, ragazza nata da un antesignano esperimento genetico e sulle sue capacità seduttive nei confronti degli uomini, trattati alla stregua di giocattoli; vendetta spietata e tragico finale non bastano però ad annoverarlo tra i titoli genuinamente horror. 
Concludiamo questa brevissima carrellata parlando di un altro film perduto, di cui restano solo alcuni screenshot e il materiale pubblicitario, che potrebbe essere considerato il primo rudimentale esempio di mockumentary. Si tratta di Ingagi, diretto dall’americano William Campbell che lo presentò al cinema come un vero e proprio documentario in cui un gruppo di esploratori britannici, guidati da tal Sir Hubert Winstead (mai esistito), si inoltrava in una foresta del Congo per incontrare una tribù di selvaggi dedita a sacrificare giovani donne a un gruppo di gorilla. In realtà il film era stato girato a Los Angeles, in parte in studio, in parte allo zoo della città, usando attori afroamericani e integrandovi, abusivamente, parti di un vero documentario girato anni prima. Quando la verità venne alla luce, grazie a uno spettatore che riconobbe un’attrice di sua conoscenza tra i presunti indigeni e a un detective privato che scoprì il resto della “truffa”, i produttori furono costretti a risarcire gli autori del documentario originale. Ingagi riscosse comunque un buon successo, anche dopo la scoperta della sua non autenticità, grazie soprattutto a una veemente campagna pubblicitaria e allo scalpore suscitato da una sequenza in cui una vergine seminuda veniva sacrificata a un gorilla. Proprio questa scena, unitamente a una reclame che prometteva nudità, violenza, lasciando intendere anche che l’offerta delle donne ai giganteschi primati (rigorosamente falsi) avesse implicazioni sessuali, fanno di Ingagi anche uno dei primi esempi di film d’exploitation. Sono moltissimi, inoltre, a vederci un’evidente fonte di ispirazione per il successivo e ben più noto King Kong. Nel 1940 venne  realizzato una pellicola dal titolo Son of Ingagi, reputata erroneamente un sequel e che in realtà non ha alcun legame con il finto documentario di Campbell.