lunedì 26 settembre 2016

(Dossier) Gli altri film del 1928



L’annata 1928 ha consegnato intatto ai posteri un solo vero horror, La Caduta della Casa Usher, di cui abbiamo appena parlato. Ho ritenuto opportuno, quindi, come già successo per il 1921, menzionare brevemente alcune altre pellicole che, per una ragione o l’altra, sono meritevoli di citazione su questo blog. Partiamo da un film perduto, The Terror, produzione Warner Bros per la regia di Roy Del Ruth, primo horror “sonoro” della storia e da alcuni ritenuto addirittura il primo prototipo di slasher movie. A leggere la trama parrebbe più corretto inserirlo, invece, nel filone delle old dark house considerate le similitudini con altre pellicole quali The Bat di Roland West: gli ospiti di una vecchia magione inglese adibita ad albergo vengono minacciati da un misterioso killer, soprannominato appunto The Terror, di cui nessuno conosce l’identità. Basato su un romanzo del prolifico giallista Edgar Wallace, ricevette dai contemporanei critiche non esattamente lusinghiere che lo condannarono con tutta probabilità all’oblio. Nel 1934 la Warner produsse poi The Return of Terror che, malgrado il richiamo nel titolo, non è un sequel del film di Del Ruth, anche se la sorte di cui godette fu pressappoco la stessa del suo ideale predecessore. 
Passando ad altri generi, ma con elementi di nostro interesse, è doveroso citare L’Uomo che Ride (The Man Who Laughs) il capolavoro girato da Paul Leni (ormai trasferitosi in terra americana) per la Universal e tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo. La storia narra le peripezie del figlio di un nobile, Gwynplaine, il cui volto è stato sfigurato in modo che le sue labbra appaiano perennemente contratte in un agghiacciante sorriso clownesco. Il protagonista era interpretato dal solito, immenso, Conrad Veidt anche se invero la prima scelta del regista avrebbe dovuto essere Lon Chaney, nel frattempo passato però sotto contratto con la MGM. Veidt indossò una protesi formata da denti e ganci metallici, particolarmente scomoda, che gli impediva persino di parlare, per dare vita all’eterno beffardo sorriso di Gwynplaine. Una maschera drammatica, ma anche inquietante, da film horror appunto. Il suo aspetto fu anche d’ispirazione per la creazione di Joker, l’arcinemico di Batman. Trama e protagonista hanno avuto influssi oltre che nel fumetto, anche nella letteratura (penso a Tiziano Sclavi in ambedue le ipotesi, ad esempio) e ovviamente nel cinema (l’ultimo omaggio, in ordine di tempo, è in Balada Triste de Trompeta di Alex de La Iglesia). 
Torniamo in Europa, precisamente in Germania ove l’epopea espressionista aveva ormai terminato la sua parabola, per parlare di Alraune, da noi conosciuto con il titolo La Mandragora, tratto dall’omonimo romanzo di Hanns Heinz Ewers. Nella produzione troviamo coinvolti un paio di nomi più volte citati nelle precedenti recensioni: Henrik Galeen alla regia e Paul Wegener quale protagonista maschile, in un ruolo, già rodato, da mad doctor. A lasciare il segno qui è però la protagonista femminile, l’affascinate Brigitte Helm, reduce dal doppio ruolo di Maria-Donna Robot nell’immortale Metropolis di Fritz Lang. La storia, in netto anticipo sui tempi, parla di inseminazione artificiale e esperimenti di genetica: il professor Ten Brinken feconda una prostituta con il seme di un assassino condannato all’impiccagione, allo scopo di verificare se il figlio nato da quest’unione erediti i vizi dei genitori. A venire al mondo è una femminuccia, chiamata Alraune, che cresce all’oscuro delle sue origini, ritenendo Ten Brinken suo padre biologico e mostrando grande intelligenza unita a un carattere ribelle; quando la ragazza scopre la verità, atterrita dalla consapevolezza di essere solo il frutto di un esperimento, giura vendetta al suo creatore. Alla vicenda, una sorta di fusione tra il mito di Frankenstein e quello dell’Homunculus, manca solo un pizzico di cattiveria per essere ascritta al genere horror; tuttavia ritengo meriti la visione, anche perché facilmente reperibile su youtube ove è stato caricato un vetusto passaggio televisivo su Rai Due. Nel 1930 ne fu, tra l’altro, realizzato un remake sonoro, sempre con Brigitte Helms nei panni di Alraune.
L’ultima tappa del nostro viaggio ideale è nel Regno Unito con Sweeney Todd di Walter West, ispirato alla leggenda di Benjamin Barker, meglio conosciuto come “il diabolico barbiere di Fleet Street”, portata su grande schermo, in tempi decisamente più recenti, anche da Tim Burton. La trama promette gole tagliate a colpi di rasoio e cadaveri dei clienti usati come pasticci di carne. Peccato però che, benché il film di West non sia andato perduto come il primo Sweeney Todd del 1926, l’unica copia esistente sia detenuta dal British Film Institute che finora non l’ha né commercializzata né messa a disposizione per il pubblico. Dare un giudizio sull’opera è pertanto impossibile, almeno per ora. 

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