giovedì 27 ottobre 2016

Frankenstein (1931)



Henry Frankenstein è uno scienziato ossessionato dall’idea di infondere artificialmente la vita a un corpo inanimato. Per raggiungere i suoi scopi non esita a trafugare illegalmente cadaveri e parti anatomiche, aiutato dal gobbo aiutante Fritz. La sua fidanzata Elizabeth, preoccupata per la salute del promesso sposo rinchiuso in laboratorio da giorni, chiede aiuto all’amico Victor e all’ex mentore di Henry, il dottor Waldman. I tre bussano alla porta dello scienziato in una notte di tempesta, proprio quando l’esperimento è ormai prossimo a compiersi.

Come abbiamo visto, la genesi di Dracula fu determinata, a monte, dalla scomparsa di Paul Leni prima e di Lon Chaney poi, costringendo l’Universal a scegliere Browning come regista e a ripiegare (si fa per dire!) su Lugosi come protagonista. La storia produttiva di Frankenstein fu ancora più complessa, cambiando radicalmente addirittura in corso d’opera. Anche in questo caso Universal, che già da tempo pensava a una trasposizione del romanzo di Mary Shelley, aveva acquistato i diritti della riduzione teatrale ad opera di Peggy Webling, in cui c’era anche lo zampino di John Balderston già autore di quella di Dracula; era inoltre stato stanziato un grosse budget, per merito del trionfo al botteghino del film di Browning. Ancora una volta venne designato inizialmente un cineasta diverso da quello che poi avrebbe firmato l’opera, il francese Robert Florey. Immigrato a Hollywood una decina di anni prima, Florey aveva in testa un progetto dichiaratamente ispirato all’estetica dell’espressionismo tedesco, al Caligari di Wiene in particolare, e per la parte dello scienziato aveva subito pensato a Lugosi. Carl Laemmle, voleva che Lugosi, attore del momento, vestisse, invece, i panni del mostro e fu così che venne addirittura girato un provino (purtroppo andato perduto), sul set del castello di Dracula (!) in cui Bela indossava un costume simile a quello del Golem di Paul Wegener. 
A questo punto i lavori sembravano pronti a partire, tant’è che venne anche realizzata una locandina con il nome dell’attore ungherese scritto a caratteri cubitali. La situazione cambiò, invece, totalmente in brevissimo tempo perché il progetto finì col non convincere né Lugosi, che alla fine rifiutò la parte, né la Universal che, intenzionata a tutti i costi a ripetere il successo di Dracula, sostituì Florey con il più affidabile James Whale, già da tempo interessato al soggetto. Whale rimaneggiò la sceneggiatura pre-esistente, già parecchio distante dal romanzo di Mary Shelley, e per la parte del mostro decise di scommettere su un attore allora poco conosciuto e nemmeno più giovanissimo: William Henry Pratt, in arte Boris Karloff. Come Lugosi, anche Karloff finì per incarnare, grazie al decisivo contributo del make-up di Jack Pierce, l’icona del mostro che interpretava, lanciando nell’immaginario collettivo una figura imponente, dalla testa piatta, i piedi enormi, piena di cicatrici (a simboleggiare il taglio&cucito del patchwork di cadaveri) abiti stracciati e, naturalmente, gli elettrodi sul collo. Nonostante le pesantissime, e spesso anche dolorose, sessioni di trucco, Karloff riuscì comunque ad essere molto efficace nella sua recitazione grazie alla gestualità e alla mimica facciale, conferendo anche un’espressione dolente e malinconica (ma, all’occorrenza anche feroce) alla creatura e imponendosi come una nuova star nel firmamento hollywoodiano. 
Anche il resto del cast se la cavò egregiamente, da Colin Clive, convincente nei panni di Henry Frankenstein, ai già rodati Van Sloan (che compare anche prima dei titoli di testa per mettere in guardia gli spettatori) e soprattutto Frye, interprete, dopo il folle Renfield, di un personaggio molto al di sopra delle righe, forse pure troppo: il gobbo servitore Fritz. Anche quest’ultimo diventerà, in misura minore, un modello tanto da venire imitato e/o parodiato in successive altre pellicole, con Frankenstein Junior di Mel Brooks ovviamente in prima linea. Il film di Whale si basava, comunque, su elementi già consolidati o già visti. Lo scienziato ossessionato, con il servitore deforme e il laboratorio isolato pieno di alambicchi e macchinari (con tanto di fulmini) si era già visto nel misconosciuto e seminale The Magician (film muto del 1926 di Rex Ingram di cui abbiamo già parlato qui). Anche il make-up della creatura potrebbe essere considerato come una versione evoluta e corretta di quello applicato a Charles Ogle nel corto Frankenstein (1910). Della sceneggiatura e dell’influenza espressionista già abbiamo detto. Eppure Whale riuscì a combinare tutti questi elementi in modo fresco e moderno, imprimendo, a differenza del Dracula di Browning e a dispetto della matrice teatrale, dinamicità e ritmo alla vicenda. Mai prima d’allora, poi, l’horror era stato così esplicito e così “crudo”. Sono tantissime le scene memorabili: l’esperimento, l’incontro con la bambina al lago (importantissimo per mostrare l’umanità e la sostanziale ingenuità del “mostro”), la camminata del padre atterrito con in braccio il cadavere della figlia (senz’altro la più toccante). L’apoteosi resta comunque il finale, con la folla inferocita, armata di torcia, a inseguire la creatura sulle montagne, sino al rogo del vecchio mulino. Dal punto di vista tecnico, fotografia top per l’epoca e splendide le scenografie e i fondali. Il film ottenne meritatamente l’agognato successo, tanto da generare di lì a poco un sequel e poi un’intera saga.
Un tassello fondamentale nella genesi del cinema horror. Visione obbligatoria.
Curiosità: la pellicola ebbe grossi problemi con la censura. Diverse sequenze, come quella dell’annegamento della piccola Maria o quella (tacciata di blasfemia) in cui Henry, galvanizzato dalla riuscita dell’esperimento si paragona a Dio, furono tagliate e reintegrate solo in tempi relativamente recenti.

Reperibilità: Ottima. Anche in questo caso c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Titolo: Frankenstein
Produzione: USA(1931), b/n, 70 minuti
Regia: James Whale
Cast: Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, Edward Van Sloan
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